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Dellerrore (una mia riflessione)

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G.Frege, filosofo e matematico tedesco e padre della logica matematica, faceva distinzione tra “senso” e “significato”.
Il significato di una espressione verbale è l’oggetto che essa indica, il senso è il modo in cui viene indicato l’oggetto.
Frege portava l’esempio del pianeta Venere chiamato sia “stella del mattino” che “stella della sera”.
E’ chiaro come ambedue le espressioni indichino lo stesso oggetto, cioè Venere, e quindi abbiano lo stesso significato, ma certo non hanno lo stesso senso.
Può essere che si dia al significato un senso diverso o contrario ma non per questo inesistente.
Saussure distinse nell’espressione verbale la forma (grafica o fonica) e il concetto rispettivamente detti significante e significato, cioè i suoni e i simboli e l’immagine che attraverso essi si esprime.
Quindi ogni oggetto o immagine assume un significato grazie ai significanti (segni convenzionali prestabiliti) con cui viene espressa.
Io ritengo che esistano immagini o oggetti come sopra detti, che possiamo anche chiamare parole, in modo più semplicistico, “insignificate” che è diverso da “insignificanti”, cioè prive di senso (vedi Frege). Queste parole hanno un senso per chi le esprime ma non hanno significato per chi dovrebbe recepirlo in quanto i significanti che lo rappresentano non appartengono alla sua sfera di conoscenze e quindi anche il senso diventa aleatorio.
In poche parole, se utilizziamo lo stesso “alfabeto”, cioè gli stessi significanti, difficilmente si potranno interpretare significati inesistenti, semmai sensi diversi da meglio chiarire con ulteriori informazioni.
Per esempio: nel linguaggio degli sms giovanili si usa comunicare con sigle prestabilite tipo TVB per dire “ti voglio bene”. Ammesso che io non conosca il significato di questa espressione grafica, nel momento in cui vado a leggerla andrò a cercarlo nelle mie conoscenze e potrei errare attribuendo un significato diverso quale ad esempio, “tutto va bene”.
In tal caso, anche il senso viene a cambiare nel più ampio contesto di una discorso.
E’ necessario, dunque, in una qualsivoglia forma di comunicazione, utilizzare i medesimi significanti strettamente rapportati ai loro significati, e chiarirne eventualmente il senso in casi dubbi.
Alla base di tutto questo ci vuole però la verità, intesa come trasparenza o limpidezza di linguaggio .
L’ambiguità porta sicuramente alla confusione, all’incertezza e può diventare un’arma potente per distruggere anche la personalità di un individuo.
Tutto questo discorso per dire che molto spesso ho l’impressione della presenza di significati diversi da quelli che si possano recepire attraverso i significanti conosciuti, in quanto l’interlocutore, pur utilizzando in apparenza i medesimi significanti, in realtà li utilizza in maniera soggettiva per dare al contesto quel tono ambiguo e fraintendibile mirato ad un suo fine prestabilito.
Ne consegue una sorta di violenza psicologica che annienta l’individualità e/o la personalità.
Come sono arrivata ad elaborare tutto ciò?
Dall’errore. Ogni messaggio ( in senso lato) spesso, troppo spesso contiene errori. Di questi, sicuramente, alcuni sono involontari, ma altri sembrano appositamente voluti come fossero una sorta di evidenziatore di quella parola, come ad avvisare che su quella parola si deve meditare per coglierne il senso e il significato esatto, o meglio, calcolato.
Quindi l’errore “voluto” diventa un terribile mezzo di controcomunicazione o di comunicazione finalizzata ad altri scopi.

 Lorena Turri - 10/05/2012 15:58:00 [ leggi altri commenti di Lorena Turri » ]

No, romanza

 Lorena Turri - 10/05/2012 15:53:00 [ leggi altri commenti di Lorena Turri » ]

Filologia... all’università, prima di smettere di studiare senza laurearmi!

 Giancarlo Vietri - 18/07/2010 22:47:00 [ leggi altri commenti di Giancarlo Vietri » ]

Ha davvero valore la distinzione tra senso e significato di cui parlava Frege? E, se lo ha, non è solo in quanto il significato è un insignificante intermezzo, un luogo di passaggio di cui abbiamo bisogno per indicare il senso, ciò che veramente ci sta a cuore?

E fino a che punto i significanti rinviano ad un significato distinto, come sosteneva Saussure, e non hanno invece vita autonoma? Diversamente detto, è davvero scindibile la forma dalla sostanza? Forse sì, ma solo nella misura in cui la nostra anima, nella sua espressione informe, è insoddisfatta delle forme che si dà per esprimersi, e resta quindi in qualche modo inespressa. Non quando riesce a calarsi nella forma nella sua interezza.

Ed è vero che la distanza tra le persone nell’uso della forma dia luogo alle parole insignificate, come ben dici tu. È persino vero che questa distanza sia a volte indotta artatamente, perché chi trasmette il messaggio mira proprio ad escludere la comprensione altrui, magari per dare a vedere che stia dicendo cose molto più acute ed originali di quanto in effetti non sia.
Ma come la metti con Proust e con la sua idea che una selva di significanti, quale è un libro, stia lì non per trasmettere i significati dell’autore, ma perché il lettore evochi i suoi?
La tua riflessione, insomma, non vale solo per le comunicazioni di carattere utilitaristico, funzionale e in definitiva oggettivo, trascurando il versante (come avviene ad esempio nell’arte), dove il linguaggio si frantuma tra chi lo porge e chi lo recepisce in un gioco misterioso di specchi?

 giuliano - 14/09/2009 12:31:00 [ leggi altri commenti di giuliano » ]

Una riflessione profonda e assai interessante!!

 Roberto Maggiani - 13/09/2009 20:49:00 [ leggi altri commenti di Roberto Maggiani » ]

Bella e significativa meditazione, grazie.

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